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gio 16 gen

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Spazio HUS

"DAL NERO" | Barbara Giorgis

Mostra Personale a cura di Elisabetta Longari

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"DAL NERO" | Barbara Giorgis
"DAL NERO" | Barbara Giorgis

Orario & Sede

16 gen 2020, 18:30 – 20:30

Spazio HUS, Via San Fermo, 19, 20121 Milano MI, Italia

L'evento

Questa mostra, dopo diversi anni di gestazione, ha finalmente trovato la sua forma più intensa in un luogo

ad essa perfettamente congeniale. Dal nero, composta dall’insieme di tredici “stazioni”, inizialmente aveva

per titolo Museo romantico perché l’allestimento prevedeva un certo quoziente di fumisteria, manifestato

soprattutto nell’intenzione scenografica di avvalersi dell’illuminazione instabile della fiamma della candela

come fonte particolare posizionata davanti a ogni “frame”. Nel tempo alcuni dettagli come questo sono

naturalmente cambiati ma il focus, potentissimo, resta l’emersione dal nero di forme appena intraviste,

estratte, sradicate dall’oscurità dei secoli, da cui emerge il bagliore di un gesto o di un’espressione; per lo

più frammenti vivi di corpi che sembrano sul punto di iniziare a risvegliarsi.

Tutto nasce per caso, dal ritrovamento, avvenuto alla fine degli anni Novanta, in una nota libreria milanese

che ha una formidabile sezione di libri più o meno vecchi, più o meno rari, di un volume pubblicato nel

1951, non cercato ma trovato, che aveva per oggetto le opere conservate al Museo del Prado a Madrid e

ne riproduceva alcune tramite la tecnica della fotoincisione in nero. Quel nero profondo e vellutato, che

sembra pulviscolo vivo, deve aver impressionato l’immaginazione di Barbara, al punto che neppure se ne

deve essere resa conto. Quel nero ha funzionato come una specie di abbaglio “al contrario”, si è attivato,

espanso e contratto, tempo dopo, lasciando emergere, dal nulla che tutto inghiotte e cancella, soltanto

alcune forme appena accennate e vagamente distinguibili nelle tenebre. Quel nero delle stampe del libro,

trovato e poi accentuato intenzionalmente tramite un intervento manuale al carboncino su una fotocopia,

il cui esito viene riprodotto in digitale, si carica anche delle risonanze della vertigine tutta contemporanea

della riproducibilità delle opere d’arte.

Queste tavole formano una costellazione, complessa e ricca di valenze. Essa ci guida nel viaggio al cuore

della notte, metafora tanto della condizione esistenziale dell’uomo quanto dell’oblio dei secoli, e in questo

viaggio la pittura rappresenta indubbiamente il grande teatro delle passioni, una sorta di vasto repertorio

dei sentimenti umani. L’operazione di Barbara Giorgis, che riproduce e manipola riproduzioni attraverso

diversi passaggi a partire da una tecnica “povera” e popolare come la fotocopia, su cui interviene

con il carboncino per poi stamparla poi in digitale, alterandole, o meglio, specialmente cancellandone la

maggiore porzione annegandola nel nero, obbliga a riflettere su diverse questioni, prima fra tutte, il nostro

rapporto con le immagini che ci circondano. Quasi tutte a colori, tecnicamente belle e nitide, ci investono

quotidianamente andando a costituire un fragoroso e continuo ronzio per gli occhi. Penso a Fino

alla fine del mondo di Wenders, alla cecità causata da un eccesso di immagini. Ebbene, questo lavoro di

Barbara Giorgis è una forma di resistenza e opposizione poetica a quella che Fontcuberta definisce, con

un’immagine particolarmente iconica, come La furia delle immagini. Quanto fascino sprigionano queste

stampe in cui quasi nulla è leggibile e quel poco che affiora non è perfettamente nitido… Si tratta di salvaguardare

anche il senso del mistero. Eccoci al cuore delle cose, con questa affermazione che sottolinea

il residuo di romanticismo su cui poggiano le ragioni profonde di questa operazione e cui si rifaceva apertamente

il titolo precedentemente concepito per l’intera serie.

SPAZIO HUS

VIA SAN FERMO 19

20121 MILANO

16.01.2020

23.01.2020

Ma in questo lavoro c’è di più: un puntare l’attenzione sul significato ricoperto dal linguaggio del corpo

nella comunicazione e nell’espressione umana, a prescindere dalle epoche storiche contingenti. In ogni

tempo e in tutte le culture, il dialogo delle mani racconta cose che mente, occhi e bocca quasi non sanno.

Nonostante dal nero affiorino anche volti, seni, costati, sono le mani le protagoniste indiscusse dell’azione.

I neri vellutati si lacerano improvvisamente illuminati da una luce teatrale che sembra venire dall’interno,

irregolare, che sfarfalla, esattamente agli antipodi della precisa inquadratura dell’occhio di bue. Questi

dettagli di scene indecifrabili nella loro completezza, rivelano la durevolezza di alcuni gesti e posture, e

non consentono all’attenzione di disperdersi per seguire altre sollecitazioni visive. Il risultato di questa

sostanziale diminuzione della porzione visuale rappresenta un guadagno in termini di chiarezza dei significati

delle azioni, delle spinte che muovono i personaggi. I gesti dunque, così isolati, acquistano maggiore

eloquenza e pathos, eppure stranamente il nero profondo e spesso che circonda il focus della visione,

assediandola, sembra non accentuarne la componente drammatica, bensì consegnare a quei frammenti

d’azione un che di sospeso e metafisico, come fossero avvenimenti colti con la coda dell’occhio nel buio

pesto della notte. Penso a certe incisioni di Redon, a quel senso di epifania improvvisa.

Occupiamoci adesso dei titoli che, come in ogni ready made, ricoprono un ruolo importante: sono il “colore

mentale” dell’oggetto, diceva Duchamp. Ogni “stazione” ha un titolo, la maggior parte dei quali è

composta da un solo termine, il participio passato di un verbo: ad esempio, soprattutto Sostenido e Abrazado

offrono allo sguardo il cerchio magico della circolazione di affetti; Confortado, Adorados, Contenido…

tutti questi aggettivi restituiscono il senso di azioni a carattere sentimentali. Le chiaccherone invece

è, a cominciare dal titolo, un dichiarato omaggio a Camille Claudel; mentre in La vida es sueño, Barbara

ha inteso mantenere il titolo originale del dipinto di partenza; Tentaziones sottolinea la voluttà insita in

alcuni gesti di pietas… Per il resto i titoli sono accomunati soltanto dal fatto di essere tutti formulati in lingua

spagnola e carichi di echi evocativi, mentre i piani si mescolano.

Si potrebbero scrivere moltissime considerazioni a partire da ogni foglio che compone questa polifonica

e misteriosa mostra, ma non è la sede per dilungarsi in questioni relative all’iconologia e alla fisiognomica

nella pittura antica e neppure per avventurarsi nelle diverse genealogie che questo lavoro potrebbe vantare.

Un’ultima notazione riguarda invece una ripresa, per sottolinearne l’importanza, del discorso sulla natura

“aleatoria” dell’intera operazione, derivata da una catena di fortuite e fortunate coincidenze. La mostra

deriva da una serie di inciampi, in tempi diversi e di persone diverse, con annesse conseguenze. Scena

prima: Barbara, per caso, incontra il libro e questo le lavora dentro per un certo periodo. Stacco. Scena

seconda: molto più recentemente, la mia immaginazione, entrando nell’ambiente in via San Fermo per la

prima volta, è corsa immediatamente all’ipotesi dell’allestimento del lavoro “lasciato in sospeso” da Barbara.

Questo luogo speciale sembrava “chiamare” questo ciclo di opere. Scena terza: a quasi un anno di

distanza dall’avvenuta programmazione della data di inaugurazione della mostra, Barbara ed io, veniamo

a scoprire che questa stanza così affascinante a inizio secolo era adibita a stamperia (Il cerchio sembra

chiudersi). I suoi muri “impuri” che, così lontani dall’asetticità del white cube, portano visibili le tracce del

tempo che nel suo scorrere ha “dipinto”, creando zone dalle diverse colorazioni, aumentano la sensazione

di instabilità di cui sono portatrici queste apparizioni dall’ombra.

Un matrimonio perfetto, fondato su un’intesa antica e contemporanea, che parla una lingua senza tempo.

Tutti quei particolari che Barbara ha scelto perché emergessero dal nero esplicitano la concretezza dei

gesti che indicano la relazione. Le mani come ponti, attizzano il fuoco, che cova sotto la cenere, di quel

senso degli altri che sembra essersi perduto, e che se è davvero perduto, sarà il fatale motivo di estinzione

di tutto ciò che umano significa.

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